20 maggio 2012

il linguaggio dell'intelletto e della personalità

Tagore quando scriveva, per correggere le parole e frasi non si limitava a tirarvi sopra una riga, ma “disegnava” cancellature con ampie linee, volute e macchie ben tratteggiate. Il foglio diventava così alla fine interprete ed espressione a un tempo di tensioni, forze, indecisioni, scelte. Da queste procedure, secondo Benodebehari Mukherjee, nacquero verso la metà degli anni Venti le opere grafiche in cui le nuove forme prendevano vita. 





Dipingere per Tagore era una necessità per esprimere se stesso perché, come scriveva a Surendranath Datta in una lettere del 2 novembre 1929: 


Un’ampia parte dell’uomo non può mai trovare espressione di sé attraverso il solo linguaggio delle parole. Per la propria espressione deve perciò trovare altri linguaggi – linee e colori, suoni e movimenti. Grazie alla nostra padronanza di essi non solo rendiamo l’intera nostra natura articulate, ma comprendiamo anche l’uomo in tutti i suoi tentativi di rilevare il suo essere più profondo in ogni epoca e clima… E' dovere di ogni essere umano padroneggiare, perlomeno in qualche maniera, non solo il linguaggio dell’intelletto, ma anche il linguaggio della personalità che è il linguaggio dell’Arte. 


Tagore, influenzato dalla concezione giapponese del rapporto con la natura riteneva che la trasmissione di questo messaggio non potesse avvenire per concettualizzazione. Voleva cioè che le sue creazioni fossero avvicinate dagli osservatori come si fa con la natura stessa e comprese piuttosto per empatia al punto di rifiutarsi di dar loro dei titoli che indirizzassero in qualsiasi modo la lettura dell’osservatore. (...)



tratto da "Tagore e la poesia dipinta" di Gian Carlo Calza 
La Domenica del Sole 24 ore del 13 maggio 2012

P.S.
Per ammirare da vicino le opere di Tagore
segnalo la mostra The Last Harvest presso
La Galleria nazionale d’arte moderna di Roma
(la mostra termina il  27 maggio)



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