La scuola dell'obbligo deve insegnare "conoscenze" o "competenze"?
La domanda apparentemente è astratta, ma dalla risposta discendono conseguenze concrete, perché ne dipendono i contenuti e i metodi dell'insegnamento.
Fino a pochi decenni or sono era considerato ovvio che la scuola dovesse impartire nozioni. Ma oggi il mondo è cambiato. Si constata sempre più spesso che le conoscenze non servono a chi non è in grado di usarle per risolvere problemi nuovi. E sono soprattutto le imprese a insistere sulla svolta.
«Oggi le imprese non sono più disposte a insegnare il mestiere per anni, si aspettano piena efficienza sin dal primo giorno di lavoro. E i lavori cambiano: non sono più uno o due nell'arco della vita ma 10-15, e saranno sempre di più. Non serve "sapere" ma "saper imparare"».
Chi parla è Charles Fadel, responsabile Global Education della Cisco, autore del best seller XXI Century Skills e cofondatore del P21 (Partnership for XXI Century Skills): un gruppo che comprende 40 fra grandi aziende e altri enti, e che ha convinto 14 stati Usa, tra cui il Massachusetts, ad adottare il proprio progetto educativo.
Il presidente Obama ha proclamato che «nel XXI secolo le abilità fondamentali saranno il pensiero critico, l'intraprendenza e la creatività». Per svilupparle la scuola dovrà insegnare in modo nuovo.
La produttività degli individui dipenderà sempre più dalla capacità di adattarsi, innovare, lavorare in gruppo, pensare in modo critico. «Se un dottore di ricerca cinese costa cinque volte meno di un europeo o un americano – continua Fadel – quest'ultimo dovrà essere cinque volte più produttivo, o finirà fuori mercato».
È questa la premessa della svolta pedagogica «dalle conoscenze alle competenze», cioè a un sapere conquistato in modo attivo attraverso la soluzione di problemi tratti dalla vita reale.
«Attenzione però – sottolinea Fadel –: non bisogna contrapporre conoscenze a competenze, bensì sviluppare le seconde dalle prime». L'insegnamento di base non va abbandonato, va potenziato. Restano validi gli obiettivi tradizionali: ridurre l'abbandono scolastico, accrescere il numero dei laureati, rafforzare le conoscenze nelle lingue, in matematica, scienze, storia, educazione civica.
A questi temi è dedicato il seminario che si tiene oggi a Roma alla Luiss, organizzato dalla Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo e da Treellle. «Oggi gli studenti – conclude Fadel – vogliono "imparare facendo".
Già Confucio diceva, 500 anni prima di Cristo: se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio comprendo».
È ora che la scuola italiana lo ascolti.
Andrea Casalegno
09 aprile 2010
più che sapere, saper imparare
Pubblicato da roberta buzzacchino
Etichette: università
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3 commenti:
Arduo, in una scuola sempre più martoriata. Ma vero: un obiettivo cui tendere, in fretta.
Ciao Roberta, un caro saluto.
cara annalisa
concordo con te, non si può più aspettare!
un caro saluto
r
Concordo.
Lavorando in università ho visto molti esempi di parecchia gente sulla carta eccellente, in pratica scarsa come competenza.
Una base di conoscenze ottima è meglio di una base mediocre ma se non si sa mettere insieme i concetti, la "mediocrecrazia" può prevalere sull'eccellenza se questa è in grado di connettere anche pochi concetti, sapendo dove trovarli.
Molte persone di successo non sono necessariamente delle "menti" ma sono in grado di mettere insieme anche persone.
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